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Il Vangelo del giorno – 06 Maggio 2015 – Io sono la vite

Il Vangelo di oggi: Gv 15, 1-8

Vite_tralcio

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

 

 

Commento al Vangelo di oggi: Io sono la vite

Qualcuno potrebbe pensare che il Signore ha detto di non fare nulla. Invece dice: «Rimanete in me e io in voi. Chi rimane in me porta molto frutto». Anche san Paolo, come Giovanni, ha spiegato in tutte le sue Lettere il mistero del dono di Dio: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7). E poi «Me infelice! Chi mi libererà? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (cf Rm 7,2425).

guarire le ferite

“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Io mi sento quel tralcio. La mia vita è una continua potatura. Senza prove, senza sofferenze, senza tagli la vita non cresce, si rimane egoisti, miseramente chiusi in se stessi. Il cristiano, l’uomo maturo è l’uomo che porta sulla propria pelle le cicatrici della potatura. I tagli non sono una calamità, una disavventura, una tragedia; il taglio è crescita, linfa che matura, misura d’umanità. Una persona senza tagli è priva di sensibilità, incapace di attenzioni; è muta e sorda, rigida, inflessibile.
Afferma Henri J.M. Nouwen: “Nessuno sfugge alla possibilità d’essere ferito. Siamo tutte persone ferite, fisicamente, psicologicamente, mentalmente, spiritualmente”. La domanda principale non è: “Come possiamo nascondere le nostre ferite?», affinché non ne siamo imbarazzati, ma: «Come possiamo mettere le nostre ferite al servizio degli altri? ».
Quando le ferite cessano di essere una fonte di vergogna, e diventano fonte di guarigione, diventiamo dei guaritori feriti.” La ferita mi rende un redento cioè un uomo capace di guarire le infermità, di capire l’altro quando giace esamine sulla strada che da Gerusalemme scende verso Gerico; il taglio mi rende partecipe, mi fa entrare nel mistero profondo della mia e dell’altrui anima. La potatura diventa indispensabile per crescere nell’ottica della comprensione, crea uno squarcio attraverso il quale il mio orizzonte si dilata e diventa punto di incontro con il fratello, luogo sublime dove il cielo bacia la terra.

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